mercoledì 21 agosto 2013

La soffitta

La soffitta era fuori dal tempo. Quando la casa era ancora giovane, la soffitta trasudava di antichità da ogni angolo. Forse per quei vecchi armadi, reduci da chissà quali stanze. Forse per il pavimento di cemento grezzo. Forse per la poca luce e le lampadine tenui, le finestre basse che impedivano di vedere la realtà, quella di oggi, dietro i vetri.
Senz'altro era un'operazione voluta e pensata, questo accatastamento apparentemente senza ordine di strati differenti di vita, fossero rappresentate da annate di Tempo e della Domenica del Corriere, da giocattoli per la prima infanzia o vecchi vestiti. C'era la volontà di conservare.
La soffitta era una rappresentazione plastica della memoria umana. Funzionava a rete. Bastava un elemento per accenderne altri mille.
Era un luogo di silenzio e riflessione: spesso si saliva la scala chiocciola da soli.
Per un certo periodo fu anche luogo di giochi, dove ognuno aveva il suo spazio, delimitato da un vecchio tappeto. Furono giochi molto belli ma durarono poco: belli in modo inversamente proporzionale alla durata.
Del resto la soffitta, come ogni soffitta, trasudava di polvere e non era un luogo adatto ai lunghi pomeriggi in compagnia, piuttosto ad ore di solitudine.
La soffitta non era fuori dal tempo: era il tempo stesso compresso in uno spazio.
Salire lungo la scala chiocciola significava un passaggio di dimensione.
Esistono i viaggi nel tempo. Nella grande casa erano possibili tutti i giorni.

giovedì 15 agosto 2013

La stradina

La casa si apriva al mondo dalla porta di servizio: da quella parte non c'erano giardini e cancellate, ma l'accesso ad un'altra realtà. Questo luogo di scambio era la cosiddetta "stradina". Qui si affacciavano mondi molto interessanti: la falegnameria di Antonio Loru, la macelleria (perché allora lì si macellava davvero, e le grida dei maialetti spesso ci raggiungevano) di Gottardo, la casa di tzia Lalia, quella più ostile di tzia Fortunata. Dalla stradina si partiva per i viaggi in bicicletta, era una sorta di corsia di ingresso per Arcidano.

martedì 23 luglio 2013

Strumenti musicali

Nella casa si suonavano diversi strumenti.
- Pianoforte
- Chitarra
- Melodica soprano
- Flauto dolce
Non so se me ne dimentico qualcuno.

Quadri

La casa vantava alcune opere d'arte. In tempi non sospetti tele di Dina Pala davano un tocco di classe al salotto. Venne poi l'epoca del pittore Carboni, da cui Picasso aveva tratto ispirazione per il suo periodo blu. Ultima zia Veronica, con il suo tocco naif: un'artista a tutto tondo. Il suo quadro sulla cassapanca era una autentica civetteria.

Piatti tipici

Nella casa la cucina non era affatto secondaria. Se nonna Collu diventava Regina assoluta della casa solo nei mesi estivi, lo era - incontrastata - tra i fornelli.
Mi limito qui ad un primo elenco dei piatti tipici:
- pane dorato
- pernice ad insalata (con molta-molta cipolla e pomodori)
- ravioli di ricotta fatti in casa
- polenta a rombi, condita con pomodoro e dolcesardo
- ripieno di pollo
- minestra di ceci
- carne lessa
- fatti fritti
- pipias de zuccuru (in estate, in quantità industriali)
- biscotti all'uovo (in estate, in quantità industriali)
- pomodori ripieni di riso (in estate, in quantità industriali)
- timballo di spaghetti con lo zucchero

lunedì 22 luglio 2013

L'odore della casa

La casa di via Regina Elena aveva una sua vita. Più o meno dal 1 luglio fino al 31 agosto, per due lunghi mesi entrava in una nuova dimensione, una sorta di sonno. Il silenzio, la tranquillità abitavano i suoi spazi, mentre gli abitanti si trasferivano nell'altra casa. Due mesi di riposo, forse era questo il suo segreto, che per due lunghi mesi poteva riposare, rigenerarsi, ripensare a quanto era accaduto nell'andito o in tinello in inverno o in primavera.
In quei due mesi la casa cessava di essere una repubblica. Ne prendeva pieno possesso una Regina  - nonna Collu - che entrava in totale sintonia con lei.
Noi a S'Archittu ci dimenticavamo della casa e vivevamo in un altro mondo, se mai parallelo. Avevamo la possibilità di una sorta di seconda vita.
Ma una volta almeno, durante l'estate, ci capitava di tornare.
Allora succedeva qualcosa di magico. Entrando dalla stradina, attraversando l'andito verso la cucina... la casa sprigionava il suo profumo. Emozionante, intenso, avvolgente.
Lo sento ancora quel profumo: vivo e appassionato. Non un semplice odore, quasi un abbraccio. Io penso che scaturisse dal rapporto intimo che in quelle settimane la Regina costruiva con la casa. Dalla conserva di pomodoro, dai pomodori ripieni di riso, da is pippias de zuccuru, dal giardino fiorito, dalla menta fresca, da quel silenzio tranquillo.
Era un richiamo: la casa ci aspettava. Mancava poco a settembre quando tutti saremo stati ormai pronti a ricominciare.

martedì 9 luglio 2013

Il '68 in via Regina Elena

Via Regina Elena 22 ospitava personaggi molto affascinanti. Dai Santoni a signora Ines, da Massimiliano Illotto ad Attilio, ognuno rappresentava un mondo diverso che si affacciava a quello rappresentato dalla grande casa, con esisti sempre molto creativi.
In via Regina Elena arrivò anche il '68, con tutto il suo fascino di novità, rotture col passato, critica e ribellione. A portarlo era Paola Simbula, ogni lunedì, da Cagliari, capitale lontana di un mondo più avanzato. Le chiacchiere finali, in cucina, prima del viaggio verso il treno, vere e proprie civili dispute tra Paola e mamma, mettevano a confronto ai nostri occhi due modelli di vita, non necessariamente alternativi, ma molto diversi tra loro. Mamma rappresentava la continuità, Paola l'innovazione, nuove sfide anche culturali. Un '68 piuttosto intellettuale, da teatro alternativo e pianoforte (Paola Simbula, la severissima insegnante di pianoforte: mai ho temuto più di lei un altro insegnante nella mia vita), qui i figli dei fiori c'entravano poco.

domenica 7 luglio 2013

Maria Montessori in via Regina Elena

Noi non lo sapevamo, ma Maria Montessori doveva essere passata da via Regina Elena, lasciando qualche "scintilla" del suo metodo. Nella casa infatti, venivano riprodotti dai bambini abitanti gli usi e i costumi degli adulti, con le dovute licenze, ma con molta precisione.
C'erano le "scuolicine", si poteva essere visitati da un "dottore", mangiare in un ristorante e dormire in un albergo, veniva anche celebrata la "messa", un falegname poteva costruire piccoli oggetti e burattini, venivano aperti negozi e supermercati, in alcuni periodi la frequenza di uscita dei numerosi giornali fu quasi quotidiana, laboratori di chimici producevano profumi o facevano esperimenti, era possibile anche partecipare alle elezioni. Insomma, un piccolo mondo molto simile a quello reale, dove gli adulti rimanevano fuori, o si affacciavano, in punta di piedi. 

martedì 4 giugno 2013

Espressioni gergali

La casa di Arcidano disponeva di numerose espressioni idiomatiche e gergali che determinavano con precisione situazioni, luoghi, giochi.
Le stanze avevano un nome, alcuni comuni, altri specifici: tinello, studio, salotto/salone, cucina e cucinino, sottoscala, veranda, altraparte, studietto, soffitta...
Tra le espressioni va citata per prima: dopoditeame, determinante per stabilire l'ordine di lettura dei giornalini.
Tra i giochi: pinguini.

sabato 1 giugno 2013

81884

Al centro della casa c'era il telefono. Grigio, a disco, modello sip (ma Paola Simbula sempre un passo avanti a noi nella sua casa di Terralba aveva il modello bordeaux). Per molti anni è stato un oggetto riservato agli adulti. Poi, del tutto naturalmente, a tutti era possibile accedervi senza chiedere permesso. La cosa più normale era ricevere la chiamata per le visite ai malati, da segnare sull'agenda posta sul mobiletto del telefono, in rigoroso ordine di precedenza. La cosa più temuta erano le telefonate di signora Ines, che avrebbero rapito mamma per almeno un'ora.
Tuttavia il vero strumento di comunicazione, che permetteva una autentica privacy, era il telefono di su, bianco, oggetto di un designer molto raffinato. Il problema era di comunicare tra su e giù l'esatto momento del passaggio di comunicazione, l'inconveniente quando uno da giù prendeva il telefono interrompendo all'improvviso una comunicazione. Il che capitava spesso.
Il numero 8 è stato dominante. Siamo passati da 81884 a 8624 per finire a 88024. Peccato che nell'elenco telefonico scrissero per sbaglio 88014 quando gli elenchi telefonici servivano veramente. Ma questa è un'altra storia.

giovedì 30 maggio 2013

Corrispondenti

Ogni abitante in via Regina Elena 22 aveva almeno un "corrispondente" da qualche parte di Italia. Figure reali, veri abitanti della casa. Mi riprometto quanto prima di farne un primo elenco a memoria.
Ma dedico questa bozza di post al mio primo corrispondente:
Stefano Rastelli di Riccione.
La geografia della casa di Arcidano grazie ai corrispondenti esplorava mondi lontani che diventavano familiari, una dilatazione spazio-temporale della casa.

Signora Prima

Uno dei momenti più emozionanti e attesi in via Regina Elena 22 era l'arrivo di signora Prima, la postina. Bisognava aspettare fino a tardi, forse la nostra era l'ultima casa dell'ultimo giro della consegna della posta. Ma quando arrivava credo che fosse felice. Non penso che in altri mondi fosse accolta come da noi. Una vera e propria gara. Concorrenza spietata allo stato puro. Attesa di giornalini, lettere e varie. Chi non l'ha provato non saprà mai la gioia pura di cui signora Prima era portatrice nel suo borsone di pelle da postina.

Edicola

Nella casa di Arcidano si leggeva moltissimo. E qui faccio solo l'elenco provvisorio.
Topolino (compresi Albi di Topolino, Classici e via dicendo).
Corriere dei Piccoli
Corriere dei Ragazzi
Il Giornalino
Il Messaggero dei Ragazzi
Lo Zecchino d'oro
Geppo
Braccio di Ferro
Soldino
Nonna Abelarda
Tex
Zagor

Nella casa di Arcidano si producevano molti giornali. E qui faccio solo l'elenco provvisorio.
Il dirigibile
Ciao Ragazzi
3+1 (comprese le varianti 3+1(+2))
Il mondo oggi

C'erano anche giornali per grandi.
Tempo
Domenica del Corriere
Bella
Alba
L'Unione Sarda
L'informatore del Lunedì

Mondi attigui

La casa di Arcidano era il centro del mondo. Era un mondo, ma era collegata a molti altri mondi, vicini e lontani. Con la casa di S'Archittu c'era da qualche parte un passaggio segreto, ovviamente metafisico e transrazionale, ma del tutto reale. Altri mondi lontani si chiamavano Busachi e Narbolia. Il viaggio verso Busachi era un'ascesa, richiedeva il passaggio di infinite curve e iniziava con un vero e proprio rito iniziatico: in fila ognuno riceveva un cucchiaino di una misteriosa pozione, che avrebbe evitato qualsiasi tipo di problema, in particolare la nausea. In questo lunghissimo viaggio la Lancia Fulvia rappresentava uno spazio dilatato, nel quale trovavano posto un numero quasi indefinito di persone (Ma di quanto succedeva nella Lancia Fulvia parleremo un'altra volta). Il viaggio verso Narbolia era più facile e aveva un primo snodo al km 99 della Carlo Felice. Gli altri tre snodi: la casa delle zie, la casa dei nonni (propriamente Narbolia) e la tappa finale da zia Giacinta e zio Antonico potrebbero essere argomento di un blog a sé.
La casa di Arcidano era il centro del mondo. Era un mondo, ma era collegata a molti altri mondi, lontani e vicini. Per questioni di sopravvivenza ci si rivolgeva a tziu Sergiu, e si poteva accedere al suo negozio a tutte le ore del giorno, in tutti i giorni dell'anno. In seconda battuta - un po' più lontano - si poteva anche passare da tzia Sara.
Altri mondi attigui erano la scuola elementare Grazia Deledda e la Chiesa parrocchiale.
Un mondo piuttosto lontano, ma questa volta raggiungibile a piedi, era la casa di Susanna, passeggiata domenicale dopo la messa delle 9.30.
Ma per me il mondo più affascinante per anni e anni è stato il negozio di signorina Maria Cera.
Non so se questo pensiero sia condiviso, ma per me signorina Maria Cera era la Lumaca, che nel film Pinocchio di Comencini mentre il burattino disperato batteva alla porta della fata Turchina sotto la pioggia, non arrivava mai, mai, mai, mai ad aprire la porta, e quelle scale non finivano mai, mai, mai (a questo film posso attribuire grandi gioie e turbamenti della mia infanzia).
Quando il negozio di signorina Maria Cera era un'edicola, era uno snodo domenicale. Dopo la messa avevamo la possibilità di comprare un giornalino.
Quando il negozio si trasformò in qualcosa di mai visto prima, per me fu un trauma. Che signorina Maria Cera non vendesse più giornalini non glielo ho mai perdonato completamente.
Entrare in quel negozio era fare esperienza - positiva, negativa, angosciante, dipende dai punti di vista - della lentezza. Non c'era fretta in quel mondo. Non esistevano vere preferenze. Gli ultimi arrivati valevano come i primi, senza forzature, pazientemente, lentamente, con professionalità, senza mai un moto di stizza verso il cliente noioso. Il fascino di signorina Maria Cera era assoluto, la sua mitezza proverbiale.
E poi c'erano altri mondi: la riforma, Gentibis (inspiegabilmente segnalato come Gentilis nei cartelli stradali), San Gavino, Oristano, Cagliari, Bugerru.
Ma la casa di Arcidano era il centro del mondo.

sabato 18 maggio 2013

Vasi da notte

La casa possedeva una dotazione di vasi da notte.
Stesso modello, colori diversi: celeste, rosa, bianco.
Distribuirli faceva parte dei nostri servizi quotidiani, tipo apparecchiare.
Poco prima di cena, passavamo di stanza in stanza: avevamo un sistema preciso di smistamento, i vasi - a pochi metri dall'obiettivo - venivano lanciati e arrivavano a destinazione scivolando con pochissimo attrito.
In fondo il vaso era uno strumento utile che evitava molti problemi, ed era certamente più divertente distribuire vasi da notte che apparecchiare.
Non so proprio perché a un certo punto i vasi da notte vennero dismessi.

Sotto il letto

Una casa grande per un adulto, è sconfinata per un bambino.
Il piano di su, quando la sera all'ora di andare a letto tutti eravamo giù, mi faceva una grande paura.
Vuoto, buio... quante persone potevano nascondersi in quelle stanze, negli armadi, sotto i letti, dentro i comodini?
Crollavo dal sonno, ma l'idea di andare su da solo su mi terrorizzava.
Una volta manifestata l'intenzione di andare a letto temevo l'invito: "Inizia ad andare, poi ti raggiungo".
Il tragitto tra giù e su diventava terribile, quali mostri mi aspettavano?
Mi succedeva dal giorno in cui al mare avevo visto un ubriaco svenuto per terra, dietro il muretto del lungomare vicino a casa. Uno spavento terribile. (Per anni ho controllato sotto il letto prima di andare a dormire, e qualche volta ho aperto gli armadi, e qualche volta anche da grande ho avuto - da solo, in un'altra grande casa nel colle delle ginestre - le stesse paure).
A metà delle scale iniziavo a gridare "Sto arrivando", senza sortire grande effetto.
"Sono arrivato", ma mancava ancora un gradino.
Accidenti, non potevano sentirmi, troppo lontano, troppo grande la casa.
Tornare indietro mi avrebbe messo nel ridicolo: si può avere paura, ma non si deve dire. (L'infamia di essere pauroso è un fardello insopportabile per un bambino).
L'andito non finiva mai, da ognuna delle tre porte che vi si affacciavano poteva sbucare qualcuno - e non era certo Michele-con-i-denti-di-Dracula.
La paura avanzava ("Ma perché nessuno degli altri aveva sonno come me?").
Finalmente la mia stanza, sotto il letto non c'è nessuno (ma non avevo una strategia nel caso avessi trovato qualcuno).
Mettere il pigiama era una questione di secondi: la paura rende velocissimi.
Ormai, dentro alle coperte, che arrivasse o no uno dei grandi, finalmente ero al sicuro.
Fino alla prossima volta, magari proprio domani. Meglio non pensarci.

venerdì 17 maggio 2013

Il pianoforte in affitto

E quella bambina, che aveva sei anni e suonava già il pianoforte, esibita da genitori-anni-settanta in cerca di riconoscimento sociale, mi aveva fatto pena. Io che ne avevo forse due o tre in più.
Lì, costretta a suonare il nostro petrof in affitto, nella stanza degli ospiti-poi di nonna-poi di Paolo, contando le battute con un certo affanno. Mi si stinge ancora il cuore rivivendo quella scena, con quegli adulti adulatori di se stessi, alle spalle di una povera bambina prodigio.
Ed io che rovino la bugia degli adulti (e mamma mi sgridò, dicendo quelle cose che gli adulti pretendono a volte ingiustamente dai bambini).
"Abbiamo comprato da poco questo pianoforte per i ragazzi che stanno imparando a suonarlo" (mamma agli ospiti)
"Ma non è in affitto?" (chissà perché i bambini ascoltano i discorsi dei grandi e si intromettono a gamba tesa)
"Prima l'abbiamo preso in affitto ma ora lo abbiamo comprato" (ma il danno era fatto).
La conversazione ebbe un appendice in privato:
"Se un grande dice che una cosa è nera anche se è rossa, tu devi dire che è nera".
A me non tornavano i conti. Avevo solo detto la verità.
Ma per fortuna quelle frequentazioni durarono poco, e non ho più avuto ordini simili (solo un'altra volta, di cui racconterò).
Comunque il pianoforte in affitto, un giorno venne comprato davvero, e il petrof diventò parte integrante della casa.

Il pozzo e il motorino

Ho dimenticato di parlare del pozzo, e del motorino.
Non so perdonarmi questa trascuratezza. Come uno che va a Berlino ma dimentica di visitare i ruderi del muro, oppure va a Roma senza passare per il Colosseo.
Il pozzo che un tempo era un vero pozzo e poi un giorno - non so ancora perché, fu una grande delusione per me quel giorno - venne confinato dietro una sorta di tombino rasente il pavimento.
C'era ancora ma non si vedeva più. Fine della poesia e della simbologia del pozzo.
Per fortuna il motorino ("Accendi il motorino" uno degli ordini più gridati nella casa, dal bagno di sopra nella speranza che qualcuno giù sentisse e provvedesse) aveva a che fare con il pozzo, e ne manteneva la memoria.
Forse il segreto della casa è nel pozzo, come il segreto dell'isola stava nella sorgente.
Ho un dubbio, che è molto più di un dubbio, in certi momenti è una visione, un ricordo nitido, in altri un sogno, che Jacob un giorno di giugno, di un anno che ho ben presente, sia passato in viareginaelena22.

Selezioni

Nonnacollu era piuttosto selettiva. Il filtro tra chi poteva entrare e chi no era potente. Aveva un suo intuito, alcune idee ben consolidate su chi potesse - secondo lei - far parte di quel mondo. Non sempre le sue idee coincidevano con le nostre, ma questo non era un problema, nonnacollu aveva prima di tutto carisma e l'obbedienza era conseguente. A volte cedeva all'insistenza, altre volte cambiava idea (Marco Fanari passò da bambino terribile a immancabile compagno di vita, quasi una adozione), altre ancora vinceva la benevolenza sul sospetto. La veranda si popolava e in tanti molti giochi venivano anche meglio.

domenica 12 maggio 2013

«Mi fate entrare?»

L'ho rivista lì, attaccata al cancello, come una prigioniera. Ma in realtà lei è fuori e noi siamo dentro a giocare. Ci guarda e ci supplica con la sua richiesta: «Mi fate entrare?». Ma non è una richiesta, è una litania, una preghiera. Impossibile rimanere indifferenti a questo sguardo mentre giochiamo ai modi più diversi. Però ci manca questo potere. Non possiamo decidere noi chi fare entrare, ci vuole un permesso. Patrizia è lì, sempre lì, attaccata a quella cancellata che dà sulla "stradina" (un altro dei luoghi della geografia della casa di Arcidano, questa volta luoghi confinanti), ci sta ore se necessario, sempre con quella sua richiesta pungolante:  «Mi fate entrare?». Qualcuno si decide ad andare da nonnacollu a supplicare per lei. «Ha detto di sì». Finalmente anche Patrizia è dentro alla casa di Arcidano.

lunedì 6 maggio 2013

Gli adulti

Nella nostra dimensione gli adulti non c'erano. O meglio c'erano, ma erano ai confini. Vegliavano, controllavano magari, ma erano invisibili.
Quello spazio era completamente nostro. Non era infinito: ad un certo punto venivamo richiamati da mamma o da nonna, che usciva dalla cucina e ci chiamava per cena. Ma la fine di ogni giornata (senz'altro dal momento in cui terminava la tv dei ragazzi) era tutta e solo nostra. Spesso la tv offriva lo spunto per i giochi da fare: uno dei più belli era rifare la tana segreta, piena di comodità, di Napo Orso Capo, senza farsi scoprire dal signor Otto e da McKallock (ma ricordo anche un gioco, molto primitivo, ai "pinguini"), oppure rifare la serie "Ufo" dove il punto culminante del gioco era nell'"allarme rosso". Altri erano giochi legati all'estate, quando si poteva giocare in giardino, tipo provocare Pallina, farsi rincorrere e correre a più non posso per mettersi al riparo aggrappandosi alla ringhiera che faceva da confine alla parte "davanti" del giardino.
Quei giochi erano uno spazio assoluto di libertà. Le leggi, le gerarchie nascevano dall'interazione tra di noi. Gli adulti in questo spazio non c'erano, erano ai confini, vegliavano, controllavano, ma erano invisibili.

Le tavolette

La cosa più difficile è capire chi per primo aveva avuto l'idea. Fatto sta che proprio di fronte alla nostra casa signor Pinuccio avesse la sua falegnameria. Cioè di fronte alla nostra casa c'era un altro luogo altrettanto creativo, tutto da esplorare. Il contatto tra le due realtà era rappresentato dalle "tavolette" che periodicamente signor Pinuccio ci regalava. Si trattava degli scarti del suo lavoro, piccoli pezzi di legno solitamente ben levigati, di diversi tipi, forma, misura.
Le tavolette erano il punto di partenza per moltissime cose. Potevano essere la base di un quadretto (ma Paolo per questo usava anche le piccole basi in legno di forma ovale delle confezioni natalizie di datteri: per molto tempo una candela dipinta su una di queste tavolette era rimasta appesa nell'andito. La forma allungata - con gli angoli arrotondati - era ideale per dipingere candele), o diventare pupazzi animati (un pinocchio snodato sempre costruito da Paolo è rimasto memorabile nella mia memoria), o mille altre cose, una variante libera delle "costruzioni lego". Il di più era poter utilizzare colla, tempere, chiodi e martello. La casa di Arcidano in queste occasioni si trasformava in una piccola falegnameria.

Via Regina Elena 22

La casa di cui parlo si trova in via Regina Elena 22. Non è un dettaglio da poco, perché senza l'indirizzo giusto non sarà possibile ritrovarla.
Qualche volta mi sono attardato a pensare a chi un giorno abiterà questa casa. Che sarà di lei? Il pensiero mi creava una sottile angoscia, un senso di ineluttabile. Ma il pensiero è del tutto inutile.
In realtà questa casa è già abitata e nessun altro la potrà mai abitare.
Non appartiene ad un tempo passato, per questo non provo nessun tipo di nostalgia nel parlarne.
Possiede infatti una caratteristica che la rende speciale. Si trova nel "persempre", in una dimensione che ognuno dei suoi abitanti può ritrovare in qualsiasi momento.
Certo, occorre una scintilla - una immagine mentale, un oggetto, un ricordo, una persona - ma poi, immediatamente ecco che via Regina Elena 22 si rianima, come i giocattoli al suono della mezzanotte. Rivive e continua a sprigionare cose nuove. Ecco, questo è importante: quando si entra in quella dimensione non c'è semplicemente da ricordare. Tutt'altro: emergono cose nuove, altre - prima invisibili - si rivelano, qualcuna, apparentemente piccola, si dilata.
Via Regina Elena 22 è uno spazio creativo che non ha ancora finito di stupirci.

La casa di Arcidano

La casa di S'Archittu, in quanto "casa" era meno importante. A S'Archittu si viveva fuori, per questo la casa poteva contenere un numero imprecisato di persone. Non che non ci fossero dei luoghi magici, fosse lo stanzino, il piano di sopra della casa di zio Antonico o l'altro stanzino, quello del piano di su, spazio di indipendenza a turno conquistato.
La casa era quella di Arcidano. Parlare di casa d'altra parte è riduttivo. La casa di Arcidano era un luogo complesso, aveva una vera e propria geografia e una precisa toponomastica. Nessuno aveva la chiave per entrare, c'erano solo due modi per farlo, suonare il campanello (abbondantemente), oppure bussare dalla porta secondaria, quella che dava sul garage e sul vicoletto.
Ognuna delle numerose stanze (quante? qualcuno le ha mai contate?) aveva un nome, uno scopo, un uso abituale. Per anni il salotto era un luogo semi-proibito, finché un giorno divenne parte integrante della casa, ne fu il cuore e anche il secondo caminetto, quello che un tempo una civetta aveva bloccato con il suo nido, riprese a funzionare. C'era il tinello, diviso dal salotto da una cancellata a pensarci bene molto raffinata, sotto quell'arco di pietre in vista che l'architetto (o era un geometra?) aveva utilizzato per firmare quella che era effettivamente un'opera d'arte, o forse d'ingegno (da dove veniva la magia della casa di Arcidano, il suo essere una sorgente di creatività? Dipendeva dagli abitanti o era un fatto intrinseco? C'era una sacca di elettromagnetismo che la collegava direttamente all'isola di Lost e noi non lo sapevamo?).
Poi la cucina e il cucinino, che poteva vantare un passato da dispensa. Poi lo studio, l'ingresso, il sottoscala, l'andito, la scala (anche questo un luogo a tutto tondo, non semplicemente uno strumento di passaggio, ottima per giochi molto diversi tra loro: morra cinese, scivolare dalla ringhiera, saltare di tanti gradini almeno quanti erano i propri anni, farne le camere di un albergo gestito da Annamaria (allora si chiamava ancora così) e Marina Fanari.
E poi gli spazi esterni: la veranda, il giardino, e la fantomatica altraparte, luogo veramente metafisico. Nell'altra parte c'era l'ambulatorio, il forno a legna (l'epoca del pane fatto in casa meriterebbe una trattazione a parte), il pollaio, la cuccia del cane (altro capitolo o volume della storia, da Medoro a Pallina, Bug, Macchia, senza dimenticare El Napoleone. Ma quante volte Pallina ha fatto dei cagnolini? E la sua morte gloriosa in un garage improvvisato camera intensiva non meriterebbe addirittura un poema?), e ancora quella strana piattaforma sopra il deposito del gasolio, e la stanzina del riscaldamento, e forse ho dimenticato qualcosa. Senz'altro gli alberi, di cui almeno tre meritano un ricordo grato: il limone, il melograno e il nespolo. A me piaceva molto anche quell'angolo di giardino dove cresceva la menta, e le fragole, che non erano certo enormi come quelle di Arborea, ma certamente buonissime. E ho dimenticato la fontanella con lo zampillo, anche i pesci rossi l'hanno abitata per un qualche periodo.
E questo era solo il primo piano. E non si parla delle cose che accadevano, dei feriti gravi medicati nello studio, del te portato in ambulatorio, dei giochi in veranda (si organizzavano anche incontri di pugilato). Questo è solo un promemoria, per iniziare. Ognuno di questi luoghi era fonte di ispirazione, scintilla di qualcosa che qualcuno creava e poi tutti gli altri seguivano (i campionati di bogaggio vicino al forno, nell'altraparte, i profumi fatti con i petali di fiori che dopo breve si trasformavano in odori purulenti). E non si deve dimenticare il garage, e il vicoletto.
E poi si saliva su. L'andito, la stanza delle "ragazze" prima (Lidia e Susanna per fare solo due nomi), poi di nonna, poi declassata a stireria. Poi la stanza del pianoforte - stanza degli ospiti prima di diventare la stanza di Paolo e assumere quella forte identità che ha mantenuto fino ad oggi. E quel grande spazio dove signora Elvira passava ore, ore, ore a stirare, stirare, stirare per anni, anni, anni. E la stanza a sinistra, dove abbiamo dormito in 4 (con nonnacollu), in 3 e poi in 2 (con un letto a castello) e poi 1. E la stanza di mamma e papà, così grande che poteva essere una casa nella casa, con il tocco di classe del parquet e delle due poltroncine ai piedi dei due lati del letto matrimoniale (e il telefono dal design futurista non avrebbe diritto a molto più che una menzione, considerato che ci permetteva di telefonare in assoluta privacy). E infine la stanza di Annamaria e Mariafranca. Ma anche io ci ho dormito per un periodo da piccolo e ci dormo ora. Una stanza che confinava con un albero di limoni sempre carico. L'andito buio (si staccava anche la lucetta verde) era il luogo dove ognuno doveva dimostrare il suo coraggio. Michele compariva con i denti di dracula, e lo spavento generava un'adrenalina pazzesca. E poi la parte nuova, un bagno di nuova generazione, tipo quelli che si usavano a Terralba, la stanza di Michele, e lo studietto, luogo della nostra indipendenza. Potevamo avere il permesso di andare a cenare su e di vedere qualche programma alternativo tipo supergulp alla vecchia televisione, con due bottoni, uno dei quali si poteva schiacciare solo inserendoci degli stecchini. Nello studietto si giocava a ping-pong e venne portato il pianoforte. In tempi successivi accolse lo stereo. I due gradini che si dovevano scendere per entrarci ne facevano uno spazio diverso, un'altra dimensione di quell'altra dimensione che era di per sé la casa di Arcidano. Si parla di metametafisica, ma la casa di Arcidano possedeva ulteriori livelli "meta", forse infiniti.
E non finiva qui. C'era un altro mondo ulteriore, a cui si accedeva attraverso un percorso che era strutturalmente iniziatico: la scala a chiocciola. La soffitta era grande quanto tutto un piano della casa, dunque enorme, in più senza muri divisori e col tetto più basso. Il pavimento di cemento la rendeva rustica, ma gli infiniti oggetti del passato ne facevano un luogo che magico è dire poco. Lì si facevano veri viaggi nel tempo, scoperte scientifiche, ci si poteva perdere in altre dimensioni.
Io un'altra casa così non l'ho mai vista.